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La pastiera,
sia pure in forma rudimentale, accompagno le feste pagane celebranti il
ritorno della primavera, durante le quali le sacerdotesse di Cerere
portavano in processione 1'uovo, simbolo di vita nascente. Questa
specialità risale alle focacce rituali che si diffusero all'epoca di
Costantino il Grande, derivate dall'offerta di latte e miele, che i
catecumeni ricevevano nella sacra notte di Pasqua al termine della
cerimonia battesimale. La versione attuale e' attribuita alla pace
segreta di un monastero dimenticato napoletano, per opera di una ignota
suora che volle, in questo dolce, simbologia della Resurrezione, si
unisse il profumo dell'arancio del giardino conventuale. Alla bianca
ricotta, mescolo una manciata di grano, che, sepolto nella bruna terra,
germoglia e risorge splendente come oro, aggiunse poi le uova, simbolo
di nuova vita, l'acqua mille fiori, odorosa come la primavera, il cedro
e le aromatiche spezie venute dall'Asia. Alcuni documenti testimoniano
la bravura delle suore dell'antico convento di San Gregorio Armeno,
maestre nella manipolazione della pastiera che confezionavano per le
tavole delle dimore patrizie e della ricca borghesia di allora.
La
pastiera,
questo dolce tanto ghiottoso e saporoso, composto di ingredienti sani e
salutari, vincendo il tempo resta ancora vivo sulla mensa dei
napoletano nella festività pasquale. La sottile fragranza ricorda il
profumo delle prime violacciocche e delle languide mimose che
illeggiadriscono gli angoli della città accarezzata dal primo sole di
primavera. Per chi non e più giovane, diventa eco, richiamo di un tempo
ineluttabilmente perduto, che, nella frangia dei ricordi, fa emergere,
volti, nomi di persone che ci furono care e che restano tali. La
preparazione di questa torta e tra le più semplici, bisogna solo
curare la dose degli ingredienti e la sua cottura. Vi diamo le dosi per
prepararne una per 12 persone: Fate cuocere in sette decilitri di latte
etti tre e mezzo di grano bagnato (lo potrete acquistare da un qualsiasi
droghiere) con bucce di limone tagliuzzate, un cucchiaio di zucchero,
una busta e mezzo di vaniglia. Lasciate cuocere lentamente. finche il
latte non sia assorbito c non sia composta.una crema densa. Sara bene
che farete questa preparazione il giorno precedente alla confezione
della pastiera. Mettete in una zuppiera circa mezzo chilo di ricotta
passata al setaccio, unite il grano, acqua di fior d’arancio (dose
secondo il gusto personale), circa trecento grammi di zucchero, un
pizzico di cannella, cento grammi di cedro, cocozzata e scorzette di
arancio candite ridotta a dadi, mescolate con molta cura e uno alla
volta sei tuorli d’uova e quattro chiare montate a neve. Foderate una
ruoto a bordi alti di pasta frolla; versate dentro il composto, con
altra pasta fate delle striscioline e disponetele incrociate su11a torta
in modo da creare dei rombi nei quali il ripieno sia scoperto. Fate
cuocere a fuoco moderato fin quando la superficie non abbia preso un bel
colore d’oro antico. Lasciate raffreddare c spolverizzate, senza
sfornare, la pastiera con zucchero a velo vainigliato. Servitela qualche
giorno dopo averla confezionata.
La leggenda della
pastiera: mito e la tradizione
La scrittrice napoletana Loredana Limone ci racconta a mò di cordiale
conversazione la leggenda della pastiera, gli antichi metodi di
preparazione e la particolarissima tecnica impiegata dalle
monache nei monasteri napoletani. Alla fine un breve brano tratto dal
suo libro “La cucina del Paese di Cuccagna. Passeggiate gastronomiche
con Matilde Serao”
L’origine della
Pastiera è antichissima e proviene da culti pagani per celebrare
l’arrivo della primavera.
La leggenda dice che la sirena Partenope aveva scelto come dimora
il bellissimo golfo di Napoli e da lì cantava con voce melodiosa e
dolcissima. La gente allora per ringraziarla di questo meraviglioso
canto le portò dei doni, sette doni per l’esattezza, come le sette
meraviglie del mondo, ognuno dei quali aveva un significato:
1) la farina, simbolo di ricchezza,
2) la ricotta, simbolo di abbondanza,
3) le uova, simbolo di riproduzione,
4) il grano cotto nel latte, simbolo della fusione del regno animale e
di quello vegetale,
5) i fiori d’arancio, profumo della terra campana,
6) le spezie, omaggio di tutti i popoli
7) lo zucchero per acclamare la dolcezza del canto della sirena.
La sirena gradì i doni, ma nel raccoglierli li mescolò in un amalgama
che le lasciò tra le mani la prima pastiera di cui fu l’inconsapevole
autrice.
La pastiera è entrata poi nella tradizione cristiana diventando il dolce
con cui festeggiare la Santa Pasqua. Ancora oggi è presente sulla tavola
pasquale in tutte le famiglie ed è simbolo di pace.
La preparazione della pastiera è complessa, lunga e laboriosa.
La tradizione vuole che la pastiera si prepari il Giovedì Santo anche
perché è un dolce che invecchiando migliora e che si può conservare fino
a dieci giorni, ma non in frigo perché altrimenti si rovinerebbe subito.
In un epoca, nemmeno tanto remota, si usava fare così: si acquistava il
grano sfuso che si vendeva nei sacchi di iuta, lo si metteva a bagno in
acqua fredda per quindici giorni cambiando l’acqua ogni due giorni. Il
grano così ottenuto andava poi scolato, dosato e cotto nel latte. Oggi
fortunatamente esistono in commercio delle provvidenziali lattine di
grano cotto già pronto per l’uso. La ricotta e lo zucchero venivano
mescolati in uno zuppierone di ceramica fino a quando non diventava una
crema e l’esperta di casa, che in genere era la nonna, non diceva:
“stop, va bene così!”.
Poi si seguiva tutto il rito della complessa preparazione sia del
ripieno sia della pasta frolla e si finiva mettendo le tipiche
striscioline di pasta sull’impasto che vanno sistemate nella tipica
forma di croce di sant’Andrea e fissate benissimo ai bordi della teglia,
sia per l’estetica, sia perché devono impedire all’impasto di
fuoriuscire.
La pastiera si fa cuocere in particolari teglie di alluminio che si
chiamano ruoti ed essendo molto delicata viene anche venduta dalle
pasticcerie in questi ruoti il cui costo credo sia incluso nel prezzo
della pastiera
La cottura della pastiera tradizionalmente andava dalle tre alle quattro
ore a fuoco basso, ma oggi per i forni moderni vi sono altri tempi.
Le monache avevano una modalità di preparazione tutta - diciamo -
particolare: si vociferava – voce di popolo, voce di Dio – che le
monache lavorassero la pasta in maniera alquanto insolita: quelle che
disponevano di natiche e fianchi più floridi, si sedevano sopra
l’impasto che era stato messo sui sedili di marmo del loro chiostro e,
sussurrando devote preghiere si dimenavano a lungo e ritmicamente
permettendo così alla pasta di crescere rigogliosa.
Per concludere un breve brano, tratto dal mio libro ... che prima ho
romanzato e poi mi ha emozionata.
Ma la regina di tutti i dolci, anch’essa nata nella pace dei
chiostri, è la pastiera. La sua origine è antichissima e proviene da
culti pagani per celebrare l’arrivo della primavera; introdotta poi
nell’atmosfera mistica della resurrezione di Cristo, è divenuta
messaggio di pace e di grazia sulla mensa pasquale. Le suore ne
confezionavano un gran numero per le dimore patrizie e della ricca
borghesia; quando i servitori andavano a ritirarle per conto dei loro
padroni, dalla porta del convento che una monaca odorosa di millefiori
apriva con circospezione, fuoriusciva una scia di profumo che
s’insinuava nei vicoli intorno e, spandendosi nei bassi, dava
consolazione alla povera gente per la quale quell’aroma paradisiaco era
la testimonianza della presenza del Signore.
(Loredana Limone)
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